venerdì 4 luglio 2014

Lo vuoi un caffè? # 403 - Sudaticcio Patchwork





L'accaldata umanità che ronza, accaldata e sudaticcia, nell'auletta surriscaldata all'ultimo piano, come tutte le udienze che si svolgono in questo periodo appena prima della sospensione estiva, mi fa venire in mente, osservandola un patchwork, una di quelle coperte fatte con i ritagli di stoffa avanzati da altri lavori.
Una coperta umana formata dal ragazzo hipster con barbone di ordinanza che sacramenta in continuazione contro il padre e lo zio che hanno combinato, a quanto capisco dai suoi borbottii, un bel pò di casini con i soldi di famiglia.
Da un collega buzzurro che si agita e suda come una bestia e più di una bestia puzza mentre al suo fianco la pensionata, capello fulvo e sgargiante, usa il sudoku di ordinanza invece che per ingannare il tempo per movimentare l'aria ferma e mefitica.
Dalla colorata macchia verde della collega, capello biondo dal taglio asimmetrico, gonna molto corta e gambe molto lunghe, che scrive pericolosamente china in avanti il suo verbale sull'unico pezzo di tavolo disponibile mentre alle sue spalle, fintamente assorti in una conversazione professionale, un occhialuto terzetto di colleghi con le giacche sul braccio le scruta strabico il culo.
Nell'angolo opposto della stanza un collega che la giacca non se la toglierebbe nemmeno se lo mandassero all'inferno e l'abbronzatissimo suo testimone in bermuda rossi sfidano la controparte in t shirt a fasce gialle e abbinato carabiniere in divisa; accanto si affannano in una prova testimoniale di fondamentale importanza sul sesso degli angeli da una parte due praticanti, conciati come se dovessero presenziare al loro matrimonio, e dall'altra una collega in optical dress le cui stampe sono ulteriormente distorte dalla sua mole matriarcale.
Si inserisce nel gruppo la praticante ricciuta e minuta con indosso appena un fazzoletto di vestitino, palesemente inconsapevole del pericolo che corre sfilando il suop corpicino in evidenza avanti e indietro nel corridoio a pochi centimetri da una schiera famelica di colleghi e parti processuli assortite, alla vana ricerca del suo fascicolo.
Chiude il viso perennemente pallido e malaticcio dell'imperscrutabile collega che sorveglia il suo contraddittore, pesantemente addobbato come se dovesse sfidare una montagna innevata, mentre redige il suo verbale sotto gli occhi attenti della cliente fatalona e ultracinquantenne agghindata come sua figlia sedicenne.
Il giudice, e siamo già ben oltre la metà della mattinata, non si è ancora fatto vedere.
Ne approfitto per scendere al bar a prendere un caffè.
Il barista, che conosco da tempo immemorabile e non vedo da secoli, mi accoglie cone se fossi suo fratello tornato indenne dalla guerra.
Della mattinata è il momento migliore.

"Lo vuoi un caffè?" - chiede quello
"Se fai i disegnini con la schiuma si" - risponde l'altro

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